Il regista tedesco Oscar Roheler affronta la trasposizione di un romanzo presto trasformatosi in caso, Le particelle elementari di Michel Houellebecq. Storia atipica per il cinema, quella di due esistenze complesse e distanti che crescono linearmente senza seguire rapidi excursus narrativi, senza tracciare trame codificabili dal consueto linguaggio filmico.
Le vite dei due fratelli Bruno e Michael, che si incontrano per un pretesto, somigliano a piante retrattili che si espandono per una superfice piana, germogliando selvaggiamente, destinate a non acquistare ulteriore altezza o vigore. Le "particelle" cui allude il titolo rimandano agli studi di Michael, biologo molecolare totalmente assorbito dal suo lavoro e alla ricerca di una "verità" monocellulare e indivisibile. Roheler accarezza la sua vita con sobrie e silenziose riprese della sua stanza, del suo pappagallo morto, di un viso attonito, spezzate solo dal fuoco dei ricordi. Per caso, per il grottesco spostamento delle ceneri e delle ossa dell'amata nonna dall'attuale tomba, rivede il fratellastro Bruno. Introdotto nel suo ambiente freddo e conciliatore di maniacali disturbi, ci appare come un uomo potenzialmente avvenente ma disgustoso, dedito all'osservazione spasmodica della sessualità delle sue studentesse e ossessionato dalla mancanza di una propria; padre affettuosamente negligente e marito disperato. E' una materia densa la sua, un febbrile attaccamento ad una vita mai avuta che sgorga nelle sedute ospedaliere.
Il film è dominato dall'accezione sociologica e psichica del sesso, dalla sua insinuante simbologia che permea l'esistenza bulimica (Bruno) e quella anoressica (Michael), derivate dalla sana apparenza, imprendibile, di una madre anaffettiva e superficiale, rifulgente di brutale inadeguatezza genitoriale e adulta, come nella scena in cui presenta i due ragazzi, due sconosciuti ormai adolescenti. La donna iconica, hippy quasi fuori dal tempo, ha reso il primo violento e talentuosamente razzista, ma pavido, incapace di incanalare le proprie pulsioni che si riersano, all'inizio, nella donna stessa. Se Bruno inciampa nelle parole, Michael le misura con precisione inumana. Ricorda e pensa al suo primo amore, e lo ritrova proprio nel momento in cui il fratello affida le proprie fragilità ad una donna estrema e per questo affine, la cui prematura e rapida scomparsa lo rigetterà nel baratro e nella follia. La scena finale sulla spiaggia, dominata da verità fraterne e fantasmatici volti, infonde una luminosa ed effettiva cifra al film. Torbido e doppio, ma inspiegabilmente leggero, quasi volatile sull'onda delle teorie e delle parole, evanescente nella vistosità dei flashback. Lo sviluppo orizzontale dei due protagonisti, l'uno candido, l'altro livido in volto, non cerca la poesia e l'evocazione, ma uno scientismo condivisibile con il quale psicanalizzarli e distanziarsene. Ma a varcare l'oppressione imminente del dramma c'è già una grossolana e godibile ironia, d'attore e di sceneggiatura, forse il tratto più genuino di tutta la pellicola.
(articolo pubblicato il 01/04/2006) |