Michele Placido con la figlia Violante e Luca Argentero sul red carpet del Roma Film Festival, foto stampa

Michele Placido con la figlia Violante e Luca Argentero sul red carpet del Roma Film Festival, foto stampa

Roma. L’ultimo film di Michele Placido, Il cecchino, presentato oggi al Festival Internazionale del Film, è fuori concorso ma in realtà al centro dell’attenzione. La storia, l’idea del regista di preparare un film su Marcello Dell’Utri hanno catalizzato l’attenzione della stampa specializzata e non solo, con dirette di RaiNews24 dal red carpet, interviste a raffica, giornate intensissime per l’ufficio stampa.

Alla cena di gala tenutasi stasera sulla terrazza del prestigioso hotel Rome Cavalieri, organizzata dal Festival con JTI quale event partner, è stato possibile incontrare il regista per parlare della sua nuova idea: Marcello Dell’Utri come simbolo, spunto, provocazione per parlare anche della cultura italiana oggi, dello spirito italiano.

 

Michele Placido, nella conferenza stampa di oggi è emersa una sua leggera insofferenza evidenziata da due aspetti: il film su Marcello Dell’Utri che vorrebbe realizzare in Italia e secondo lei non lo si può fare; e questo film presentato oggi che è stato prodotto in Francia. Cos’è che manca in Italia? Un progetto culturale? Del coraggio? Dell’inventiva? La cultura?

L’hai detto! No, quando parlo del film su Dell’Utri: io non ho detto, forse c’è stato un malinteso, io ho detto che mi piacerebbe pensare ad un film su un personaggio emblematico come Dell’Utri. Non so se lui è innocente o colpevole, finché non c’è una condanna non lo si può dire, e spero per lui che non ci sia, ma è diventato un personaggio emblematico di come una persona importante della politica italiana e anche della cultura, è sotto giudizio per una possibile connessione tra Stato e mafia. Per capire attraverso un personaggio magari che si ispira a lui o qualcun altro, per fare un film serio su quello che è accaduto nel nostro paese. Trovo che manca, da parte del cinema italiano, una svolta non solo sul piano cinematografico ma anche sul piano civile, siccome il cinema è un’arma importante può fare la sua parte per fare un’analisi finalmente importante. Non si possono continuare a fare commedie o film autoriali e abbiamo sempre paura di toccare temi che poi sono un po’ delle ferite aperte della nostra storia.

Secondo lei questo è un processo storico o è l’indole italiana che più di tanto non gli va di sprecarsi?

Una volta si facevano questi film, pensiamo a Francesco Rosi, che in questi giorni ha compiuto novant’anni, che ha affrontato negli anni ’70. Ora che c’è la voglia di ricominciare socialmente e politicamente a dare una svolta.

E’ più un processo storico.

E’ più un processo storico, sì.

La scelta di Dell’Utri e, più in generale di un personaggio emblematico, secondo lei ha a che fare con la filosofia? E’ un modo per ripetere, ad esempio, quell’idea hegeliana, o comunque dell’Ottocento tedesco, per la quale l’elezione di un personaggio rappresenta il simbolo per un’epoca?

In qualche modo sì. Nell’Italia di oggi può essere solo rappresentata attraverso un personaggio del genere, non certo Padre Pio.

Concludendo, se mi consente una affermazione molto personale, il fatto di poter realizzare un film come Il cecchino rappresenta una parte del suo passato da poliziotto per il quale la comprensione del delinquente, o comunque delle persone cattive, non rappresenta una giustificazione ma un dato di fatto, esiste nella realtà e bisogna fronteggiarlo.

Bisogna affrontarlo, bisognerebbe avere più coraggio da quel punto di vista, il male è dentro l’uomo, dentro ciascuno di noi, ci vuole una parte molto che mancava negli ultimi decenni di quella democrazia, non voglio usare la parola Stato, di quella democrazia forte che ha il coraggio di prendere di petto il male degli uomini per dare alla comunità un’etica un valore morale e anche civile.