Roma. Come Mastroianni, anche Paolo Villaggio consegna in veneranda età il suo bagaglio di vita a teatro, raccontandosi in un monologo interattivo col pubblico.
Ricordi, storia, grandi personaggi: al Teatro dei Satiri in due ore ripercorre la sua vita con l’intento di lasciare una memoria. Ne sente la necessità. Titolo: La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca in scena fino al 25 Novembre.

Molti sono i piani di lettura dello spettacolo. Lo spettatore distratto e attratto da Fantozzi vede dal vivo un simbolo di una filmografia all’epoca non molto apprezzata, ora considerata un classico dell’analisi sociale italiana. Un’analisi, purtroppo, ancora valida. Il parlare di Villaggio conserva quella componente corrosiva che ricorda un’epoca precisa italiana culturale votata a questo aspetto, lo erano anche Cochi&Renato, dove il surrealismo verbale cominciava a sfumare nella parodia, il genere dei nostri tempi. A questo si aggiungono gli aneddoti su Gassmann, Tognazzi, Fellini, Monicelli.

L’appassionato di critica cinematografica vuole sentire dal vivo, direttamente dall’attore, retroscena e autocritiche su battute memorabili, come quella che dà il nome allo spettacolo, sperando di trovare conferme sulle proprie teorie estetiche.

Sul piano storico sono di grandissima attenzione i dialoghi che ha avuto da bambino con gli anziani, con il dottor Pisano, che quasi novantacinquenne nel 1945 parlava e commentava con Villaggio e suo padre, a Genova, sui fatti della guerra, sull’Italia, sulla domanda: perché Mussolini ha dichiarato guerra agli USA? Il punto di interesse deriva dal fatto che Villaggio riporta dal vivo i pensieri di persone nate intorno al 1850, che sono vissuti in un’Italia pre-unitaria, post-unitaria, gli echi della guerra franco-tedesca del 1870, della prima guerra mondiale, del Fascismo, fino alla seconda guerra mondiale. Un documento storico vivente di fondamentale di importanza, ci si ritrova nel 2012 vicinissimi ad un’epoca considerata morta.

Da notare l’insistere sui nazisti, sulla seconda guerra mondiale fonte di ispirazione per Fracchia e punto sul quale l’attore converge ripetutamente durante lo spettacolo. E’ quasi un’ossessione, esorcizza un’esperienza che ancora suscita timore, dai ricordi vividi che trasporta, soprattutto per chi non l’ha vissuta, in una sensazione tanto lontana quanto vicina col ricordo diretto.