Roma. Il tema dell’acqua ben si sposa col Reale Circolo canottieri Tevere Remo. Il secondo circolo d’Italia ha un palmares ed una tradizione formidabile che come tale garantiscono il miglior contesto per manifestazioni come il vernissage di martedì 21 Maggio della mostra di Francesca Bonanni. Il tema: l’acqua. Il titolo: Acqua, la rinascita.
Nelle sue tele ad olio e tecnica mista ha riportato immagini evidentemente fotografiche di persone in piscina o al mare, variando la dimensione da quadri grandi a quelle di piccole dimensioni, come nella migliore tradizione pittorica europea.
Considerando quanto rappresentato ci fermeremmo ad una valutazione iperrealista semplice, dove il tema dell’acqua è talmente appariscente da terminare subito l’analisi. Se invece, astraendoci, valutassimo Francesca Bonanni come un segno dell’arte contemporanea, potremmo ricavare informazioni più utili per noi, anche al costo di lunghe digressioni.

L’impianto fotografico, o meglio ancora l’uso della fotografia è ormai antico e consolidato. Dalla metà dell’Ottocento viene usato stabilmente, inutile chiedersi se valga la pena usare una macchina fotografica ed ereditarne le sue caratteristiche di inquadratura oggi. Viene usata ed è un dato di fatto: l’arte non è più creazione a mano libera, bensì design, progettazione grafica. Nonostante questo, Francesca propone l’essenzialità dell’inquadratura per comunicare la rinascita dall’elemento acqua. Persona distesa a crogiolarsi col sole; persona che esce dall’acqua come se fosse un battesimo; persona che ne è immersa, anche se con gli occhialetti. L’elemento centrale della collezione è evidente strumento di unione, fratellanza, sicurezza, bellezza. Però non c’è analisi simbolica, non vi è un dietro le quinte da analizzare. Tutto è assolutamente evidente.
E’ un segno comune dell’arte odierna. Anche se fosse stata simbolica questa pittura, ormai è persa nel tempo quella capacità di far sentire gli archetipi umani. Alfred Hitchcock ne Gli uccelli costruisce un complesso sistema simbolico; pensiamo anche a Pasolini, a Spielberg, al simbolismo di John Dos Passos o Francis Scott Fitzgerald. Accomunati da questa capacità, l’arte odierna preferisce l’immediato alla rendita di lungo termine.

Eppure Francesca dona qualcosa di particolare. Le dimensioni contenute dei quadretti, quasi bozze preparatorie a quelli più grandi, sempre dipinte ad olio con tecnica mista, segnalano qualcosa di diverso. Per l’artista, la capacità di fornire un’emozione superiore alle dimensioni più grandi. Per noi, il fatto che l’arte ritorna ad essere tale se perde l’aspetto comunicativo, ossia il secondo fiume carsico del Novecento. Togliendo di mezzo MacLuhan, tanto per intenderci.

Ecco che un’artista dalla vasta cultura -parallela alla mostra è stata presentata la sua tesi di laurea, ora libro corposo, sulla pittrice e modella Pasquarosa– può diventare un segno dell’arte odierna, anche se all’inizio la sua attività sembra avere un’incidenza locale. Perché anche senza volerlo, ognuno di noi riflette il contesto contemporaneo. Se consideriamo l’aspetto globale e senza interruzioni della comunicazione contemporanea, tale aspetto è ancora più evidente. L’arte può ritornare tale se coglie nella dimensione dell’intimità, anche fisica per le dimensioni contenute, un suo baricentro. Curiosamente, al globale imperante si può trovare spazio ritornando nel particolare dei nostri luoghi. Il ritrovare identità diventa nuovamente una re-visione del particolare, un nuovo romanticismo a 200 anni di distanza da quello storico, nel progetto comune di continuare nell’arte e non nel ripiegarsi su sé stessi, anticamera della morte della creatività e della cultura.