Roma. L’anteprima del documentario Slow food story ha svelato la rivoluzione gastronomica che ha modificato il modo di percepire il mangiare iniziato dal fondatore Carlin Petrini. Ed anche di percepire il capitalismo applicato all’agricoltura. Stefano Sardo, il regista, non ha usato mezzi termini per definire la sua opera: rappresentare la rivoluzione ancora in atto, non è una semplice fotografia. La resistenza al fast food e al fagocitare senza limiti delle risorse mondiali, rovinando i piccoli produttori che usano l’intelligenza e il rispetto alla natura per produrre. Ma non solo: rappresentare un movimento culturale che è diventato anche azienda ma modificando l’habitat mentale. Non è necessario fare azienda distruggendo. La si può fare, portando alla cultura della distruzione la contro cultura del rispetto e quindi anche del benessere.

Prodotto da Indigo film e Tico film company, è un documentario essenziale per capire la storia di questo movimento dove un linguaggio non troppo esplicativo può portare a comprenderlo diversamente, ossia un modo diverso di essere capitalisti nell’industria agro-alimentare. Con questa caratteristica difficilmente potrà mettersi in mostra in prima serata sulle reti nazionali, anche se un prodotto come Slow food story meriterebbe d’esser inserito in prima serata al posto dei soliti pacchi.

Il buffet slow food, foto di Rodolfo Mazzoni

Il buffet slow food, foto di Rodolfo Mazzoni

Il buffet slow food, foto di Rodolfo Mazzoni

Il buffet slow food, foto di Rodolfo Mazzoni

Il regista Stefano Sardo, foto di Rodolfo Mazzoni

Il regista Stefano Sardo, foto di Rodolfo Mazzoni