Ale&Franz in una foto di scena, foto stampa

Salvatores ritorna oggi sul grande schermo. Oppure è il cinema italiano che vi ritorna? La domanda un tempo retorica diventa attuale in epoca pandemica. Comedians rappresenta, oggi, tutto questo. Una riflessione sul ridere, sull’essere cinema e spettatore, sugli spazi del film.

Adattamento dell’omonima pieces teatrale di Trevor Griffiths del 1975, riporta nell’unità teatrale un insieme di provini di aspiranti attori. Infatti lo spazio del film nell’epoca pandemica si è ridotto, sia nella versione puramente digitale delle serie su Netflix, Nowtv o Amazon Prime video, che in quella reale. Lo spazio si riduce anche per una maggiore facilità di gestione, dovuta allo spostamento delle persone, ed in questa riduzione si riscopre il valore della recitazione, del singolo personaggio.

Gli aspiranti attori sono interpretati da: ALE e FRANZ, Natalino BALASSO, Marco BONADEI, Walter LEONARDI, Giulio PRANNO, Vincenzo ZAMPA e con Christian DE SICA. Sono loro gli esecutori delle volontà del regista, che a distanza di trentasei anni dalla prima messa in scena al Teatro dell’Elfo del 1985 del medesimo soggetto, ripropone un suo evidente aggiornamento, scoprendo il lato oscuro del testo.

I singoli aspiranti attori si mescolano nelle loro meschinerie, necessità economiche, volontà artistiche in un tutto fluido, come nella realtà. L’attualità del testo di Griffiths, così come l’interpretazione di Salvatores, sta nel fatto che la difficoltà di decidere oggi cosa fare, come uscire dalla pandemia, pone la scelta critica di dimenticare la qualità intellettuale a favore della facile vendita.

Che fare? Mentre nel 1985 il culmine della grande espansione economica post seconda guerra mondiale consentiva di scegliere una visione antitetica, anarchica, di cultura ad un pubblico che credeva nella necessità ed utilità della stessa, oggi il discorso è diverso. Se la cultura è diventata un insieme di regole, delle quali la tecnologia è il massimo sacerdote, regole che valgono ugualmente in qualunque parte del mondo, qual è il senso della cultura, del differenziarsi tipico del ridere?

Qui non si tratta più di scoprire i meccanismi reconditi, come il magistrale testo di Bergson realizzò nel 1900. Si tratta di usare quanto di inventato è disponibile, di farlo funzionare.

Ed è proprio questo il problema: la cultura tecnologica ci chiede solo di far funzionare le cose. Non serve la creatività, in assoluto teme l’anarchia. Per proseguire il proprio mestiere di comico, a cosa sei disposto a rinunciare?