Un documentario per fissare la memoria di una resistenza civile. Due ore di storie di attori che hanno donato il loro tempo e la loro energia per un’utopia. Voci nel deserto non è solo questo, racchiude un grande spaccato dell’Italia dei nostri ultimi anni, 2009-2013. 2009: perché in quell’anno ha inizio il progetto di portare sul palco del Brancaleone e successivamente per strada la voce di grandi pensatori ed artisti del passato che hanno illuminato la mente. 2013: tra una decina di anni questo documentario sarà estremamente datato e fonte storica preziosa per comprendere il sentir comune di un momento, che non si esaurisce nei quattro anni indicati ma affonda almeno all’inizio degli anni Novanta. Molti i riferimenti attuali, dalle recenti elezioni all’IMU.

Settanta artisti hanno appuntato su fogli le massime e le analisi di persone come Hannah Arendt, Antonio Gramsci, Ennio Flaiano, Tucidide, stralci d’intervista a politici italiani e stranieri, momenti di film per raccontarli in pubblico ed evitare che le persone, i cittadini italiani vadano spontaneamente nella caverna platonica ad incatenarsi. Nel frattempo gli stessi artisti si sono costituiti in un collettivo e con occhio clinico i due documentaristi, Iris Manca e Paolo Bravi, hanno colto l’evoluzione, implosione e rinascita tipica di questa categoria di gruppi, i quali pur avendo una qualità culturale di assoluto livello sembrano essere un prodotto antistorico, legati ad un Novecento italiano che non finisce la sua corsa.

La complessità del filmato, le sottili sfumature che emergono sarebbero molto lunghe da descrivere, esulando da una facile lettura di questa breve recensione. Si rimanda alla sua visione, ricordando in serie alcuni momenti critici:

  • legato alla città: l’operazione Voci nel deserto è tipicamente cittadina, nonostante le rappresentazioni in provincia rimane intellettuale e si scioglie come la prima neve, senza attecchire sulla mentalità profonda italica (ma è bene provarci sempre);
  • sudditanza culturale: rimane una sudditanza culturale nei confronti del berlusconismo, ben evidenziato dall’idea di riconoscersi nella contro-cultura, di cultura che nasce da una reazione, quando invece deve essere propositiva e vincente;
  • televisione: l’analisi della televisione e del suo impatto, scolastica ed assolutamente inutile oggi, era valida negli anni Ottanta, ora è tardiva;
  • studiare la lezione: l’aspetto di crescita teatrale ed attoriale è fantastica: ogni persona che voglia diventare attore deve imparare a memoria questo documentario e studiare tanto e bene;
  • lavoro e cultura: non pochi partecipanti al progetto seguono la passione del teatro lavorando in luoghi non di comando, non sono manager: se si è schiavi economicamente è difficile esser liberi culturalmente avendo presa pratica. Curiosamente in questo l’Italia ricorda la Russia zarista della metà dell’Ottocento;
  • democrazia orizzontale: il solito problema della democrazia orizzontale, il non aver padroni: è curioso notare come venga negata la componente animale dell’uomo, confermando ancora una volta che l’aspetto intellettuale rimane tale confinato nella mente, senza scendere nella pratica vera dove bisogna risolvere problemi. In questo gli inserti di Marta Zoffoli sono molto interessanti e precisi.