Una foto di scena, foto stampa

Una foto di scena, foto stampa

Roma. Al Quirino è in scena fino al 1° Dicembre la Locandiera di Goldoni. Mirandolina è Nancy Brilli, mentre Fabio Bussotti, Giuseppe Marini, Maximilian Nisi, Fabio Fusco e Andrea Paolotti sono il conte, il marchese, il tenebroso amore di Mirandolina, il servo della locandiera. La regia è di Giuseppe Marini, al suo esordio con Goldoni.

Il tentativo di serializzare questo spettacolo, rendendolo moderno negli intrecci amorosi, quasi da fiction, dove Mirandolina diventa una sponda alla quale i comprimari rimbalzano per proseguire, è un interessante esercizio intellettuale, che lascia spazi a considerazioni generali di elevata cultura.

Certamente la traduzione in italiano puro delle battute in veneziano ha ovattato l’esplosività del testo originario, rendendolo però vicino a noi. L’aver voluto vedere nel ‘700 intrecci amorosi come li vediamo noi oggi omaggia l’intelligenza umana, crea il presupposto dell’eternità dei sentimenti e decostruisce il passato rendendolo vivo ancora oggi. L’aver invertito i fili tessuti dal drammaturgo veneziano rendendo i comprimari abilissimi caratteristi nucleo portante dell’opera rientra nella nostra mentalità. Rappresenta però una forzatura dell’architettura settecentesca, che è bene ricordare nata e costruita per essere eseguita così com’è, nella mentalità dell’epoca dove ognuno delle persone, dei personaggi aveva e doveva avere il suo posto, nessuno escluso. E nessuno doveva cambiarlo, ricordiamoci Casanova. Un sistema proveniente direttamente dal Medioevo, come mirabilmente descrisse Michel Foucault.

La trama del secolo dei Lumi è fatta apposta per essere un meccanismo da non interpretare, qualora lo si facesse risulterebbe storpiato. Dove sarebbe l’unicità nell’eseguire sempre nello stesso modo lo spartito? Nelle persone che lo eseguono, nel loro vigore: ognuno di noi è diverso. Ma la nostra epoca non sente più vicino quel modo di fare, che era rimasto ancora nell’Ottocento. Bisogna essere filologi, ritornando a Nietzsche. Anche il confronto tra classi rimane per noi astratto, visto che siamo oggi un’unica classe, quella borghese.

Spettacolo che riserva tutti questi confronti, il regista ha mostrato molto coraggio.