Venezia. La Galleria Tre Oci espone fino al prossimo 26 Agosto le splendide e geometriche fotografie di Fulvio Roiter.
Non voleva essere chiamato Maestro ma per tutti gli appassionati della fotografia tale era.
E come tale viene e verrà ricordato in questa prima retrospettiva con 200 fotografie le quali illustrano e descrivono il suo arco professionale.

 

Promossa dalla Fondazione di Venezia insieme con la Città di Venezia, è curata da Denis Curti con il contributo e supporto di Lou Embo, moglie di Fulvio Roiter.

Nove sono le sezioni presenti: in sintesi, gli argomenti di Roiter, che possiamo chiamare tranquillamente la sua poetica, riguardano Venezia, il bianco e nero e la successiva fase del colore, nella quale ereditò la pulizia tecnica richiesta nella composizione in assenza di colore, pertanto con uno stile ben lontano ad esempio da David LaChapelle.

E così spiegò anche durante la nostra intervista, della quale riproponiamo la parte interessata in questa recensione.

Il nostro ricordo del fotografo non può che passare da un incontro privato, avvenuto dieci anni fa presso il caffé Quadri a Venezia.
Era la programmata intervista, per la quale avevamo vari argomenti da dipanare, dai più filosofici a quelli pratici, in modo tale da non perdere l’occasione unica.
Non era la vicinanza fisica ad avere in sé le caratteristiche private. Era l’assenza di altre distrazioni a fornire l’occasione del privato, della totale attenzione verso di noi.
Un incontro che rifletteva l’innata curiosità del fotografo a conoscere chiunque e qualunque situazione, per parte nostra cogliere la dinamica dell’approfondimento.

Come si comporta un grande personaggio al di fuori dell’evento oggettivo, in questo caso l’intervista? Per Fulvio Roiter significava rimanere normali.
Normalità per un fotografo famoso e pluripremiato era riservarsi di parlare poco, di lasciare spazio al silenzio. Osservare e capire, giudicando anche: ma senza interrompere il flusso di informazioni o rovinarlo distorcendolo. Manifestava in parallelo un’altra dinamica, quella della contemporaneità. Non è raro infatti trovare personaggi famosi, della cultura, totalmente assenti dal presente.
Viventi una dimensione parallela.

Nel caso di Fulvio Roiter l’aver parlato, confrontato ed inserito in un contesto di metodo fotografico Valentino Rossi, ha reso l’intervista ancora più preziosa.
Un aiuto, un suggerimento a rimanere eternamente giovani: si riesce quando si mantiene viva l’attenzione, non ragionando per schemi. Superandoli, soprattutto quando sono i propri.

L’incontro si svolse nel miglior modo possibile, volle sapere gli argomenti poco prima, in modo tale da giustamente organizzarsi i discorsi, vista l’ampiezza degli argomenti toccati. Possedeva un rispetto verso l’interlocutore, qualunque fosse stato, che era palpabile: la ricerca della verità porta la persona ad essere pragmatica e soprattutto ad ascoltare.

Qual è la differenza tra un artista come Fulvio Roiter e l’immagine dell’artista che viene tramandata, quella della persona che è estranea al mondo o ne rappresenta un’anima instancabilmente critica? Forse Fulvio Roiter è prossimo ai grandi pittori fiamminghi del ‘600. Facevano arte ma in parallelo alla loro vendita, proseguivano una loro personale ricerca, di estetica come psicologica, arrivando al massimo della tecnica, laddove essa diventa semplicemente capacità di espressione delle proprie idee in forma semplice.

 

Alcune fotografie esposte, foto di Rodolfo Mazzoni

Alcune fotografie esposte, foto di Rodolfo Mazzoni

 

Foto di Rodolfo Mazzoni

Foto di Rodolfo Mazzoni