1938-Quando scoprimmo di non essere italiani di Pietro Suber è stato proiettato oggi in anteprima mondiale alla Festa del Cinema di Roma. Il titolo si riferisce chiaramente all’anno orribile delle leggi razziali in Italia, imposte dal regime fascista e promulgate dal re Vittorio Emanuele III di Savoia.

Con una efficienza rara nella storia italiana, i provvedimenti vennero applicati direttamente il giorno dopo la loro promulgazione e tutti gli ebrei che avevano incarichi e ruoli all’interno dello Stato od esercitavano professioni vennero cacciati, egualmente gli alunni delle scuole, rinchiusi in classi dedicate a loro.

L’evento fu di portata storica: gli ebrei italiani avevano partecipato attivamente all’Unità d’Italia, sia come soldati che come finanziatori; avevano combattuto durante la Prima guerra mondiale come italiani, non come un’altra nazione; avevano aderito al Fascismo con entusiasmo.

Eppure questo fatto avvenne. Oggi, dove i protagonisti diretti sono ormai rarefatti, è ancora più importante ricordare e non dimenticare. Oggi ci si interroga ancora sui motivi di una tale decisione e sul silenzio assenso della società civile italiana.

Durante il documentario le testimonianze degli eredi Ovazza, di Lea Polgar, di Emma Alatri, del rabbino Luciano Caro, di Cesare Finzi e di tanti altri sfaccettano gli innumerevoli meschini motivi per i quali il fatto si trasformò in realtà.

Ma non risulta ben spiegata l’assonanza con i tempi moderni, dove nazionalismi e razzismi ritornano in auge.
L’assonanza coi tempi moderni sembra evidente: infatti si può obiettare che se si intravedono effetti uguali, allora sicuramente le radici saranno identiche.
Ma non è così: varie concause propongono come effetto un comportamento simile al 1938 ma che non è lo stesso. Importante questo aspetto: usando un linguaggio medico, saper riconoscere i sintomi aiuta nella giusta scelta del farmaco, altrimenti una sua somministrazione errata comporterà una debilitazione del fisico che aiuterà l’insorgenza della malattia.
Ed in questi tempi siamo di fronte ad una malattia diversa dal 1938.

La desertificazione morale e materiale che il consumismo ha comportato spinge ad una polarizzazione dei sentimenti che si ri-manifesta sulle minoranze. Più semplicemente, non riuscendo a mantenere lo stesso stile di vita; non riuscendo a rovesciare un sistema; non avendo più un lavoro, ci si dirige verso le minoranze le quali, solitamente, hanno meno difese.
Questo meccanismo non giustifica l’azione contro le minoranze ma ne spiega i motivi, ben diversi dal 1938: lì l’aspetto politico e culturale, radicato nell’Ottocento, ha proposto quella dinamica. Oggi siamo di fronte ad un puro e ben previsto da Marx inviluppo del capitalismo ed è qui dentro, nella nostra cultura economica, che dobbiamo intervenire.