Al circolo romano ARCI Sparwasser è andata in scena la presentazione del libro Dante in dodici parole di Marco Grimaldi, edito da fila37 e con la copertina curata dalla illustratrice Claudia Intino alias Gubrin.
Un’occasione per dialogare con Filippo La Porta, saggista, giornalista e critico letterario italiano sul libro appena edito, sul ruolo del critico letterario, dei classici e del nostro rapporto con il passato letterario.
Siamo qui stasera a parlare di Dante, con un libro nuovo dalla accattivante copertina. Ma in tutto questo, il ruolo del critico lettarario, militante e non, sarà solo di custode?
No. Il libro di Marco Grimaldi è un libro prezioso ed utilissimo. Lui fa critica militante anche con i classici.
Si pensa che il critico militante sia solo quello che si occupa di letteratura contemporanea: non è così.
Invece uno può occuparsi di Dante, di Petrarca, facendo critica militante. Questo lo faceva Pasolini, le sue recensioni lo erano.
Che vuol dire? Trattare i classici anche come nostri contemporanei, ovviamente riconoscendo la loro distanza, che è obiettiva. La trattazione contemporanea risiede nel parlarne ora, con le nostre parole e tematiche.
Inoltre, ci sarebbe la questione di Dante e la cancel culture, dico questo: in Primo Levi in Se questo è un uomo, c’è una pagina nella quale si descrive che si recitava Dante per sopravvivere agli orrori di Auschwitz.
Voltando pagina: Hitler viene a Roma, accolto alla stazione Ostiense, Mussolini gli regala una copia magnifica della Divina Commedia. Ci si potrebbe chiedere: ma Dante appartiene a Primo Levi o a Mussolini e Hitler? La risposta è: signori, Dante non appartiene a nessuno.
Appartiene ad ogni lettore: ognuno dovrebbe leggerlo, farlo risuonare dentro di sé, rispondendo all’appello che Dante ci rivolge: “noi siamo vermi fatti per diventare angeliche farfalle“. E’ l’appello ad una trasformazione, al quale si può o meno rispondere.
Per essere oggi critici letterari, filologi, bisogna avere rispetto del testo del passato, qualunque sia stato. Qual è la medicina per non scadere nell’opposto?
Questa sera abbiamo avuto un esempio della terza via, evitare di ridurre il testo e l’autore, soprattutto, in un’icona pop o figura da bacheca museale. Secondo Marco Grimaldi ci è riuscito. Si percepisce la giusta distanza con un testo così importante ma al contempo stesso Grimaldi continua a dialogarci. Franco Contini, importante critico letterario, diceva che Dante non sta dietro di noi, sta davanti a noi.
Cosa vuol dire? Si trovano nel testo dantesco delle verità che non sono le sue idee, del suo tempo, sono delle verità che possono parlarmi. Infatti vive in eterne contraddizioni: me ne viene in mente una, è un uomo del medioevo, con una sua visione metafisica, un ordine del cosmo ben precisa. Quasi granitico. Tutta la modernità, invece, implica un senso quasi drammatico della instabilità.
Per noi la modernità è instabile, è lacerazione. Incredibilmente ritrovo in Dante anche questo sentimento.
Quando nell’ultimo canto del Paradiso quella terzina meravigliosa: “Così la neve al sol si disigilla; così al vento ne le foglie levi si perdea la sentenza di Sibilla“. E’ incredibile come in un uomo tomistico troviamo un senso così drammatico dello svanire di tutto.
Una dialettica dei contrari.
Per rileggere, o leggere per la prima volta, classici di questo livello bisogna avere pazienza, aspettare di assorbirli. In questo la scuola?
Purtroppo li fa odiare i classici. E’ un paradosso. I promessi sposi li ho odiati: l’ho riscoperti dieci anni fa. Lo confesso. E’ un romanzo strepitoso.
Che consiglio dare ad un giovane per la Divina commedia? Bisognerebbe leggerlo, almeno una volta, senza le note. Ma su questo forse ha ragione Marco Grimaldi: non possiamo levare completamente le note. Nel senso che ci sono dei versi di Dante che ci possono dare un’emozione subito, senza il battiscopa delle note che si allarga sempre di più. Però la loro assenza può la nostra emozione ancora più intensa: in generale, leggere è un piacere enorme, ma non è naturale.
Non è come passeggiare in riva al mare. Lo si acquisisce, implica disciplina, impegno, educazione. Pertanto si pone come un piacere innaturale perché va conquistato.