Elliott Erwitt, USA. New York, 1956. 40x50, © Elliott Erwitt Private collection
Elliott Erwitt, USA. New York, 1956. 40×50, © Elliott Erwitt Private collection

Informazioni sulla mostra al sito: https://www.mostrepalazzobonaparte.it/

Roma. Da oggi 28 Giugno è aperta la mostra a palazzo Bonaparte su Elliott Herwitt.
Fino al 21 Settembre ben 80 scatti scelti proprio dal fotografo per questa mostra, prima della sua morte, illustreranno la sua capacità di essere cantore della commedia umana, testimone delle piccole e grandi assurdità della vita.
Le sue immagini iconiche riescono ad essere al tempo stesso leggere e profonde, intime e universali. Sono scatti che fanno sorridere, riflettere, emozionare.

In occasione della presentazione alla stampa, abbiamo avuto il piacere di raccogliere un commento a Biba Giacchetti, sua assistente per 28 anni.

Guardando queste foto di questo grandissimo fotografo, visto che lei l’ha conosciuto per almeno 28 anni, le ha mai parlato di un aspetto architetturale di quando lui fotografava perlomeno in bianco e nero?

Lui suggeriva, a tutti quelli che gli chiedevano come diventare un bravo fotografo, suggeriva sempre studiate i classici, perché la composizione in qualche cosa deriva da un allenamento dell’occhio.
Vede, ci sono moltissime fotografie, per esempio, proprio in questa sala, prese dai finestrini, perché per lui il finestrino diventava quasi una cornice, quasi un diaframma tra l’interno e l’esterno, tra due storie diverse.
Le sue fotografie hanno tutte una composizione molto importante. Lui ha fatto anche un libro interamente dedicato all’architettura, cosa che sanno in pochissimi.
Abbiamo qualche fotografia presa anche da quello, quel grande palazzo di New York, preso proprio dal libro delle sue architetture.
Sì, la composizione in questo fotografo è molto molto importante ed è un fattore molto importante per tutti i fotografi di questa generazione.
Perché lavoravano in pellicola, quindi non potevano sprecare il materiale, era molto costoso. E quindi la composizione avveniva nel loro cervello a monte, le nuove generazioni utilizzando il digitale, quindi senza avere spese di materiali, la composizione talvolta la fanno in un tempo successivo.
Questi fotografi invece dovevano arrivare dritti sul loro risultato, su quello che loro avevano in mente: quindi avevano un addestramento anche nella fotografia istantanea, quella colta nell’attimo superiore, a chi invece usa le immagini in maniera istintiva non pensate.

In questo difetto di materiale, nel senso che era costoso, li ha resi però molto prossimi a quella fotografia ottocentesca che era fortemente ancorata ad un passato ancora più passato rispetto ad Erwitt. Questo è stato un caso o invece era una sorta di omaggio per quel secolo?

No, devi pensare che la fotografia ottocentesca ha attraversato delle fasi. Per essa abbiamo due grandi filoni: uno americano, l’altro francese. Noi europei, che deriviamo più dal filone francese, abbiamo Nadar che era un pittore, solo successivamente comincia a fare le fotografie. E utilizza la fotografia per fare poi i ritratti, quindi la fotografia nasce un po’ come una asservimento alla pittura, che era considerata l’arte principale.
Poi invece arrivano delle correnti di pensiero, arriva la fotografia più realista, arrivano i Weston, arriva il gruppo degli F34: la fotografia comincia ad avere una sua personale e propria dignità.
E con il bianco e nero in quella fase lì, loro potevano avere il controllo totale di tutte le fasi della fotografia, quindi dallo scatto allo sviluppo.
Per esempio Elliott, per dirne una, ad un certo momento si trova in Russia e vede passare un missile durante una parata. Pur avendo il passaporto americano, parlava russo perché era di origine russa, quindi riesce a fare questa fotografia e rende conto che una fotografia importantissima perché non si sapeva che questo missile fosse nei tenimenti dei russi.
E quindi che cosa fa? Torna di corsa in albergo e sviluppa direttamente il rullino, ad un certo momento per sciacquare le pellicole tirava lo sciacquone!
Ma era molto creativo da questo punto di vista! Però, ecco, loro avevano con il bianco e nero, con le pellicole, il controllo totale. Con l’avvento del colore, nel periodo in cui comincia il colore, fine degli anni ’60 del ‘900, loro non hanno il controllo, perché i laboratori del colore sono fuori.
Quindi usano il colore soprattutto per i commissionati, o li consegnano ai giornali. Però loro non hanno il controllo dello sviluppo, della stampa, o di come intervenire sul colore.
Oggi è esattamente il contrario, cioè se tu vuoi farmi il bianco e nero oggi, devi andare nei laboratori specializzati o devi avere dei macchinari particolari.
Lui diciamo è figlio anche di questo tempo e queste fotografie, che lui ama di più -non riesco a parlare al passato- e che ha selezionato e che per il bianco e nero per lui era un po’ alla sintesi della situazione del sottrarre per andare dritto al messaggio che l’immagine poteva comunicare. Erano però anche le fotografie che lui poteva controllare, stampate da lui nel laboratorio al piano di sotto, quindi anche il controllo della resa finale.