È arrivata la fine per Panem, per Katniss e per tutti quelli che hanno combattuto insieme alla Ghiandaia Imitatrice nel corso di questi anni. 

L’opposizione si sta preparando. I distretti dissidenti sono ormai tutti radunati sotto un unico vessillo, quello dei ribelli, e sta per cominciare la spostamento in massa verso Panem, conquistarla equivale a dimettere la dittatura. Katniss è l’arma numero uno della resistenza, non per le sue virtù di condottiero o per la sua capacità sul campo, ma per la sua immagine. Prima spremuta come volto simbolo del divertimento e della distrazione di massa, ora è invece divenuta il corpo dell’insurrezione, l’unica a cui la gente dia ascolto, l’unica a cui tutti hanno fiducia anche se la sua figura è stata ininterrottamente condizionata. Per questo motivo decide di andarsene dai ribelli e di cercare di trovare la sua rivincita e assassinare il presidente Snow da sola. Ora tutti la vogliono morta.

Sarebbe una descrizione perfetta per Hunger games: il canto della rivolta-parte II ma manca una colonna sonora indispensabile, scarseggiano i colori, manca la tensione emotiva. Allo spettatore risulta difficile entrare in empatia con un opera cinematografica fuor di misura e troppo senza vita per poter offrire emotività. Risulta un’occasione persa.

La protagonista sembra non sia fatta in carne e ossa ma completamente in kevlar quasi indistruttibile.

L’effetto che ne consegue è una grande quantità di insipidezza fatta di da comunicazioni senza senso e da attori mediocri, che ti investe di sciocchezze per tutta la durata della pellicola. L’unico aspetto positivo è l’eccezionale tecnologia in 3D che fortunatamente colma il vuoto del film.